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PIOVE DI SACCO

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Mobbing


Iniziamo con un po’ di numeri per dare l’idea del fenomeno.

Quante sono le vittime del mobbing in Europa ?
Difficile dirlo, l’Eurofuond (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro con sede a Dublino - http://www.eurofound.europa.eu) stima le vittime in Europa nel 5% dei lavoratori, mentre l’Ispesl (Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro - http://www.ispesl.it) ritiene che il numero sia maggiore, circa 12 milioni pari all’8% dei lavoratori.
E in Italia ?
Anche qui il dato europeo (2,3%) è inferiore a quello nostrano che è di circa 1,5 milioni di mobbizzati e quindi il 4% degli occupati.
Una costante però unifica tutte le analisi : le donne si confermano le più colpite dal fenomeno (il 6% contro il 4% degli uomini), e questo è particolarmente vero per quelle sotto i 30 anni (8%). Chi è interessato a questi e a molti altri dati può trovarli nel rapporto European Working Conditions Survey scaricabile al seguente indirizzo :
http://www.eurofound.europa.eu/publications/htmlfiles/ef07671.htm

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La spiegazione delle diversità di cifre, anche se comunque il dato rimane molto alto e preoccupante, è in primo luogo dovuta alla difficoltà di circoscrivere il fenomeno.
Com’è noto, manca in Italia una definizione legislativa del mobbing (al contrario Svezia, Francia e Belgio si sono già dotate di una legge nazionale che, quanto ai primi due Stati, addirittura addossa al soggetto accusato di mobbing (mobber) l’onere di dimostrare l’infondatezza dell’accusa). Tuttavia, in considerazione del fatto che dal 2000 l’Inail (http://www.inail.it/) risarcisce anche il cosiddetto danno biologico, è stata emanata dallo stesso Istituto Nazionale Assicurazioni Infortuni sul Lavoro una Circolare la n. 71 del 2003 http://normativo.inail.it/INAIL_internet/default.htm che identifica con assoluta precisione una serie di situazioni di “incongruenza organizzativa” che possono causare disturbi psichici di origine professionale e che dunque possono essere indice di comportamento mobbizzante.
Riportiamo di seguito alcuni esempi di tali comportamenti tratti dalla circolare n. 71 del 2003, non prima però di aver precisato come la stessa sia sotto esame da parte dei giudici amministrativi, nel senso che è stata impugnata avanti il TAR del Lazio per illegittimità e adesso è all’esame del Consiglio di Stato :
- svuotamento delle mansioni;
- mancata assegnazione degli strumenti di lavoro;
- ripetuti ingiustificati trasferimenti;
- impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie;
- esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo;
- esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale.
Infine, accanto alle situazioni sopra ricordare, non va mai dimenticato che il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro da qualsiasi rischio per la salute psico-fisica del lavoratore. E dunque non solo il datore di lavoro non deve mobbizzare egli stesso il dipendente (mobbing verticale), ma anche deve controllare che non si verifichi mobbing orizzontale (tra colleghi), posto che un ambiente di lavoro sano è un diritto del lavoratore che l’azienda deve garantire.

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Pur con queste premesse sommarie e generiche, ci si rende subito conto della difficoltà che si incontrano quando si deve trattare il fenomeno mobbing nelle aule di giustizia. I giudici del lavoro sempre più di frequente si trovano a dover decidere cause intentate da lavoratori “mobbizzati” o presunti tali che chiedono il risarcimento dei danni che il comportamento del datore di lavoro o di un altro dipendente gli avrebbe cagionato alla salute.
La mancanza, come detto, di una espressa definizione normativa del mobbing non facilita l’indagine da parte del giudice, cosicché i magistrati sono costretti in primis a distinguere tra la molteplicità di episodi e dei fatti portati al loro esame, quelli di per sé non illeciti da quelli, giuridicamente rilevanti.
Il risultato di questo paziente lavoro di “scrematura” è il rinvenimento da parte della giurisprudenza, di una caratteristica del fenomeno ritenuta necessaria : gli atti e i comportamenti posti in essere devono complessivamente costituire un’aggressione psicologica nei confronti del singolo individuo, aggressione che deve essere sistematica, ripetuta e compiuta per un apprezzabile periodo temporale.
Vanno dunque sempre distinti, i normali conflitti interpersonali sorti nell’ambiente lavorativo, da quelle condotte emulative tese a perseguitare un individuo, svilendone la professionalità e l’immagine e a emarginarlo dal contesto umano e professionale in cui opera.
Ecco dunque alcuni importanti criteri utilizzabili sin da subito dall’interprete per verificare se il caso portato al suo esame possa o meno rientrale nel mobbing : comportamento vessatorio e ripetitività nel tempo dell’azione, sono i requisiti che il lavoratore deve indicare in maniera precisa e circostanziata già nel ricorso introduttivo avanti il Giudice del Lavoro. In difetto di tali elementi, ovvero in caso di insufficiente descrizione, la sua domanda non potrà nemmeno essere istruita con il risultato che essa andrà respinta siccome non provata.

Alcuni link ove si possono leggere per esteso delle recenti sentenze sul mobbing :
http://www.altalex.com/index.php?idnot=10488
http://www.altalex.com/index.php?idstr=66&idnot=38120

Avv. Andrea Doardo



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