Come è noto, il contratto di associazione in partecipazione ha origini antiche configurandosi fondamentalmente in accordi tra privati in cui un soggetto si incaricava di finanziare una spedizione mercantile che un altro soggetto aveva il compito di commerciare, con divisione finale dei guadagni. Secondo la definizione contenuta nel codice civile in vigore, il contratto di associazione in partecipazione è quel contratto con cui l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto (art. 2549 codice civile). L’oggetto dell’apporto può consistere in un qualsiasi bene (una somma di denaro, un immobile, un bene mobile, un credito, etc.) e quindi anche in una prestazione di lavoro.

L’importanza per il diritto del lavoro dell’associazione in partecipazione è venuta a crescere negli ultimi anni. Il legislatore del 2012 con la legge di riforma del lavoro ha inserito apposite nuove norme allo scopo di ridurre al minimo, se non eliminare del tutto, il rischio di utilizzo abusivo di questo contratto per aggirare la normativa in materia di lavoro subordinato.

E’ stato infatti previsto dalle legge n. 92 del 2012 :

- che si presumono rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato quei rapporti associativi “instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare ovvero senza consegna del rendiconto”;

- e che quando l’apporto conferito alla società consiste anche in una prestazione di lavoro sono possibili solo tre associati in partecipazione, salvo i familiari entro il terzo grado, pena la conversione in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato per tutti gli associati.

Per quanto riguarda poi le associazioni partecipazione già costituite, possono stare tranquille solo quelle certificate prima della entrata in vigore della legge (18 luglio 2012) per le altre, la maggior parte, i dubbi di genuinità sono aumentati.