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PRESCRIZIONE DEI CREDITI DI LAVORO

Il mancato esercizio di un diritto per un certo periodo, determinato dalla legge, determina l’estinzione del diritto stesso per prescrizione. Questa regola, si applica anche a quei diritti che nascono dal rapporto di lavoro. Vi sono dunque diritti che si prescrivono nel termine ordinario di dieci anni e altri, come il trattamento di fine rapporto o la retribuzione, che si prescrivono in un termine più breve, cinque anni.

Il punto critico di questa materia è quello che riguarda il momento iniziale; cioè il momento dal quale far decorrere il termine di prescrizione per quei lavoratori che sono legati al proprio datore di lavoro da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò per l’ovvia considerazione che far valere un diritto, una pretesa, nei confronti del proprio datore di lavoro quando si è ancora alle dipendenze di quest’ultimo può risultare a dir poco problematico. E allora c’è il rischio che il mancato esercizio del diritto, non sia il risultato di un semplice disinteresse del titolare, disinteresse che in ossequio alla esigenza di certezza dei rapporti giuridici, viene sanzionato con la prescrizione, ma sia il risultato di un timore, di una situazione psicologica del lavoratore, che porta il lavoratore stesso a rinunciare all’esercizio di quel diritto.

Partendo da queste considerazioni la Corte Costituzionale con sentenze oramai datate (n. 63 del 1966, n. 174 del 1972) ma ancora attuali, ha affermato il principio per il quale gli articoli di legge (codice civile) ovvero di Contratto Collettivo, che prevedono le prescrizioni in tema di rapporto di lavoro sono da interpretare, per essere in linea con la Costituzione ed in particolare con l’articolo 36, nel senso che la prescrizione non corre in costanza di rapporto di lavoro tutte le volte che il lavoratore abbia il timore che esercitando i propri diritti possa incorrere nel licenziamento.

Ma questa interpretazione della Corte Costituzionale alla quale si sono adeguati pressoché unanimemente anche i giudici di merito, deve essere precisata a seconda del tipo di tutela di cui gode il lavoratore. Ed infatti, se questo timore di essere licenziati è giustificato per quei lavoratori che non godono della cosiddetta tutela reale (articolo 18 Statuto dei Lavoratori ante riforma Fornero), altrettanto non può dirsi per quei lavoratori che invece sono sotto l’ombrello protettivo della citata norma. Dunque, prima della legge Fornero che com’è noto ha modificato l’articolo 18 dello Statuto, la prescrizione dei diritti correva per i lavoratori in regime di tutela reale e invece era sospesa per gli altri lavoratori che di quel regime non godevano.

Cosa accade oggi che l’articolo 18 è stato modificato e che la reintegrazione non è più la regola ? Si può sostenere che tutti i lavoratori, anche quelli delle grandi imprese ai quali si applica l’articolo 18, seppure riformato, hanno paura di essere licenziati e dunque, che per tutti i lavoratori non corre la prescrizione in corso di rapporto ?

La domanda è attuale e le risposte allo stato piuttosto varie ed articolate al punto che risulta impossibile dare oggi una risposta convincete e sicura al quesito; si confida che a breve arrivino delle sentenza magari della Corte di Cassazione che indichino, ai vari soggetti coinvolti, quale comportamento tenere.


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