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Diritto al lavoro dei DISABILI : sopravvenuta inidoneità alla mansione e licenziamento.

Il problema della sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione e dei limiti al connesso potere di recesso del datore di lavoro, solleva questioni tutt’altro che risolte.

Ricordiamo innanzi tutto come, prima della entrata in vigore della legge n. 68 del 1999 il datore di lavoro, a fronte di un peggioramento delle condizioni di salute del dipendente invalido, con conseguente riduzione della capacità lavorativa, fosse legittimato sicuramente al licenziamento. Con l’entrata in vigore della legge sopra richiamata, in particolare degli articoli 4 e 10 nonché, con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008, articoli 41 e 42, il quadro è sostanzialmente mutato.

Oggi il licenziamento del lavoratore, che per un aggravamento della originaria disabilità ovvero per un fatto sopravvenuto incidente su una situazione d’iniziale piena efficienza lavorativa, perde la propria idoneità alla mansione specifica, è legittimo solo se il datore di lavoro, prova di non poter adibire il lavoratore a mansioni equivalenti, ovvero a mansioni inferiori a quelle per le quali è divenuto inidoneo. Ma al datore di lavoro è tuttavia anche richiesto di studiare e nel caso adottare tutti i possibili adattamenti della sua organizzazione lavorativa atti a scongiurare l’ipotesi, a questo punto veramente residuale ed estrema, del licenziamento.

Se ad esempio al lavoratore, per un aggravamento della sua malattia, sia fisicamente consentito solo il lavoro da casa, deve il datore di lavoro organizzarsi per rendere possibile questo tipo di prestazione adottando il cosiddetto telelavoro oppure può legittimamente licenziare il dipendente ? 
Da un lato dunque il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica e dall’altro, il non meno rilevante principio di tutela delle categorie protette e del loro pieno diritto ad ottenere e mantenere una occupazione.

Ebbene, come sempre più spesso accade, la realtà, i casi che ci si presentano quotidianamente devono essere risolti non più solo alla luce delle norme di legge interne, italiane, ma anche alla luce dei principi e delle norme europee. La Direttiva che ha guidato gli Stati alla predisposizione di norme a tutela dei lavoratori portatori di handicap (2000/78/CE) all’articolo 5 parla di misure ragionevoli. Cioè il datore di lavoro deve assumere tutti quei provvedimenti appropriati per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Allora, anche alla luce dei principi dell’ordinamento europeo che come detto, ormai devono guidare la nostra opera di interpretazione del diritto, l’adozione della modalità del telelavoro sarà di volta in volta una soluzione ragionevole e quindi tale da scongiurare un illegittimo licenziamento, non in base ad una valutazione astratta e preventiva, ma in considerazione di molteplici fattori, come le dimensioni dell’azienda, le sue attuali risorse finanziare, il tipo di tecnologia adottabile. Solo quando si avrà accertato che la soluzione per consentire al disabile la sua permanenza in azienda sia irragionevole, il datore di  lavoro potrà procedere con il licenziamento.


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