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Sul patto di non concorrenza

La giurisprudenza si è spesso occupata del patto di non concorrenza post contrattuale disciplinato, per il rapporto di lavoro subordinato, dall’art. 2125 codice civile mentre per gli agenti rappresentanti l’istituto è regolato dall’art. 1751-bis sempre del codice civile.
Il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere congruo rispetto al sacrificio richiesto e necessariamente determinato, o comunque chiaramente determinabile nel suo ammontare, al momento della stipulazione del patto. La valutazione sulla congruità del corrispettivo non può essere correlata a criteri generalizzati e aprioristici, ma deve essere attuata tenendo presenti le peculiarità di ciascun caso concreto.
Il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato alla scadenza del patto ovvero alla cessazione del rapporto. Sussistono incertezze in giurisprudenza, in relazione alla possibilità o meno di erogare il corrispettivo del patto, in costanza di rapporto.
Il patto di non concorrenza può essere sciolto solo per volontà di entrambe le parti.
Va ancora rilevato che il patto di non concorrenza contiene spesso la previsione dell’applicazione di una penale, a carico del lavoratore, per il caso di sua violazione. La penale, se quantificata in modo eccessivo, può essere ridotta da parte del giudice.
Al riguardo, in ambito giurisprudenziale è stato precisato che la valutazione della congruità o meno della penale deve tener conto delle concrete ripercussioni della violazione del patto “sull’equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla situazione contrattuale concreta” (in tal senso, Cassazione 4 aprile 2006, n.7835).
Da ultimo va ricordata la possibilità, per il datore di lavoro che abbia subito la violazione del patto di non concorrenza, di ricorrere all’autorità giudiziaria, anche in via d’urgenza, al fine di ottenere l’inibitoria allo svolgimento delle prestazioni lavorative presso il nuovo datore di lavoro.
In relazione ai presupposti necessari per la concessione dell’inibitoria, e con particolare riferimento alla configurabilità del cosiddetto “periculum in mora”, sono ravvisabili due contrapposti orientamenti giurisprudenziali : un primo orientamento, meno rigoroso, ritiene sufficiente la prova della violazione del patto di non concorrenza; un secondo orientamento, più rigoroso, richiede anche la prova di un pregiudizio, ovvero “di una perdita irreversibile di competitività sul mercato” (nel primo senso, Tribunale di Milano 17 dicembre 2001; nel secondo senso: Tribunale di Milano 20 dicembre 2002 e 16 luglio 2001).


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